Introduzione
Nonostante le sue notevoli dimensioni e la sua resistenza, il tendine di Achille è il tendine più comunemente infortunato nel corpo (Oda et al, 2017; Canata et al, 2019). La rottura avviene tipicamente in soggetti di mezza età sportivi ma poco allenati (Wertz et al, 2013). Si trattata di una lesione delicata che, se non adeguatamente trattata, porta ad una riduzione della funzionalità (Bertelli et al, 2009). Il suo recupero è molto lungo e spesso permane una riduzione di forza e resistenza tra il 10% e il 30% (Dams et al, 2019;Heikkinen et al, 2016; Olsson et al, 2011; Bostick et al, 2010) che compromette il ritorno al livello di prestazione pre-lesione (Zellers et al, 2016). Questo è dovuto al fatto che la cicatrice che si forma non riesce a replicare le proprietà meccanica del tessuto originale (Aicale et al, 2017; Lin et al, 2004). Una grande meta analisi (Zellers et al, 2016) ha osservato che il ritorno alla competizione negli atleti con rottura del tendine di Achille avviene nel 80% dei casi. Inoltre un altro studio (Trofa et al, 2017) ha evidenziato che a un anno dall’infortunio la prestazione è ancora inferiore a prima della lesione e occorrono almeno 2 anni per tornare al livello precedente.
Diagnosi della rottura del tendine di Achille
La rottura del tendine di Achille avviene nel 90% dei casi durante una fase di decelerazione-accelerazione (Aicale et al, 2017). La rottura quasi sempre totale e solo raramente parziale (Karlsson et al, 2017). Nelle rotture “spontanee” invece si ritiene che alterazioni progressive del tessuto portino ad una riduzione della capacità di carico del tendine (Aicale et al, 2017; Riggin et al, 2015; Alsousou et al, 2019).
La diagnosi di rottura del tendine di Achille viene posta associando alla storia del problema la valutazione clinica tramite appositi test e gli esami strumentali di ecografia ed eventualmente risonanza magnetica (Longo et al, 2013; Bleakney et al, 2006; Dams et al, 2017).
Gestione della rottura del tendine di Achille
Ad oggi non c’è ancora consenso su quale sia il trattamento migliore, se l’approccio conservativo o l’operazione chirurgica (Carmont et al, 2011). Svariati studi hanno cercato di capire quale fosse la procedura di recupero migliore tra intervento chirurgico, approccio conservativo, immobilizzazione post rottura e riabilitazione funzionale precoce. Se nei primi 6 mesi sono state alcune differenze in termini di elasticità, forza e rischio di recidiva, queste differenze tendono a scomparire oltre i 6 mesi di recupero (Aufwerber et al, 2020; Valkering et al, 2017; Schepul et al, 2013). Tuttavia, se la gestione acuta è oggetto di dibattito, recenti studi propongono che la scelta tra trattamento chirurgico o non chirurgico non sia tanto importante quanto il fare riabilitazione (Caldwell et al, 2019). Infatti da questi studi risulta evidente come sia fondamentale per un buon recupero lavorare con carichi progressivi per incrementare la forza massimale nella salita sulla punta, la resistenza e l’elasticità del tendine, nonché le capacità di contrazione esplosiva tramite esercizi pliometrici.